Cessione del ramo d’azienda cosa può fare il consulente finanziario? Cosa accade al suo contratto di agenzia?

La cessione di azienda o di ramo d’azienda è un fenomeno conosciuto anche nel settore della distribuzione dei servizi finanziari, negli anni diverse sono state le acquisizioni tra SIM e Banche ed altre ancora ne verranno; pertanto, è sempre d’attualità il tema relativo alla sorte del contratto di agenzia che lega il consulente finanziario alla mandante cedente.

La norma di legge di riferimento è l’articolo 2558 Codice civile, in particolare il comma I° per il quale: “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”; il primo interrogativo concerne, quindi, la natura del contratto di agenzia, il quale, se avesse “natura personale”, non si trasferirebbe autonomamente da una preponente ad un’altra. La giurisprudenza prevalente ritiene che il contratto di agenzia non abbia natura personale con la conseguenza che, in caso di cessione d’azienda, esso proseguirebbe automaticamente con il cessionario.

Con questa tesi, in tutta sincerità, non sono molto d’accordo in quanto può essere vero per alcune categorie di agenti di commercio ma non lo è necessariamente per i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Nel mondo dell’intermediazione mobiliare, i contratti di agenzia di una rete sono tutti uguali ma, attenzione, ogni singolo consulente ha discusso e concluso con l’intermediario la propria, appunto personale, lettera accessoria o integrativa del mandato e questa non è affatto scontato che sia identica a quella firmata dagli altri colleghi, anzi solitamente non lo è. Le cosiddette “side letter” contengono le pattuizioni specifiche in materia di obiettivi, remunerazione, incentivazione e organizzazione dell’attività, rappresentano la vera essenza del rapporto agenziale perché è con esse che le parti, al di là del contratto normativo uguale per tutta la rete, hanno voluto prevedere e disciplinare gli aspetti più importanti della loro collaborazione. Per questo motivo, mi sento di concordare con quella parte della Dottrina più attenta che conferisce al contratto di agenzia natura di contratto “intuitu personae” e ciò proprio per la presenza di lettere integrative ad hoc, scritte su misura per il singolo consulente. Partendo da quest’ultimo presupposto, con la consapevolezza che si tratta di un orientamento poco condiviso, una prima eccezione che si può sollevare, nel caso in cui la propria mandante abbia ceduto il contratto di agenzia ad un intermediario non gradito, è quella di sostenere l’inapplicabilità dell’automatismo di cui all’articolo 2558 stante la natura personale del contratto, sempre se il contenuto reale dei patti aggiuntivi firmati ed in vigore al momento della cessione consenta di farlo.

Altra possibilità è quella di esaminare il mandato e verificare se, tra le varie varie clausole, ve ne sia una che vieti la cessione a terzi del contratto (in una versione del contratto di una delle più importanti reti vi è proprio una clausola che recita: “questo contratto non è cedibile..”, purtroppo l’intermediario in questione è anche un colosso che difficilmente cederà il ramo d’azienda relativo ai consulenti…). Se si pescasse il jolly dato dall’esistenza della clausola di incedibilità si potrebbe, per sottarsi al trasferimento automatico, invocare la premessa contenuta al comma I° del citato articolo 2558 “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente subentra …”.

Infine, la domanda sovrana: Posso recedere per giusta causa se la mia mandante cede l’azienda ad altro intermediario?

La risposta può essere positiva ma a condizioni ben precise.

Di nuovo bisogna guardare all’articolo 2558 c.c. ma al suo comma II°: “Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”. Il concetto di giusta causa richiamato dalla predetta norma non è però, propriamente quello a cui il consulente finanziario è abituato a pensare e cioè quello riconducibile all’articolo 2119, vale a dire un grave motivo che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, il concetto è radicalmente diverso. La cessione d’azienda può integrare una giusta causa di recesso dell’agente dal contratto di agenzia se il cessionario non offre una sufficiente garanzia del regolare adempimento delle obbligazioni derivanti dalla prosecuzione del rapporto di durata e, più in generale, della regolare prosecuzione dell’attività dell’azienda cui è connessa l’attività dell’agente medesimo. In termini pratici, il consulente finanziario ceduto potrà invocare l’articolo 2558 quando il nuovo intermediario non dia affidabilità circa il pagamento delle provvigioni o degli altri emolumenti previsti nel contratto ceduto, oppure quando non sussistono le condizioni per mantenere lo stesso standard operativo a livello dei servizi finanziari, bancari e assicurativi che prima la cedente assicurava alla clientela. Francamente, sono situazioni che difficilmente possono verificarsi in questo settore. Comunque non tutto è perduto, rimane sempre la possibilità di agire sulla scorta dell’altra norma e cioè sulla scorta dell’articolo 2119 codice civile. Si impongono, tuttavia, delle precisazioni fondamentali. Infatti, le motivazioni generiche legate al cambiamento dell’offerta commerciale, dell’organizzazione aziendale, dell’assetto provigionale ed episodi simili non valgono sempre e comunque quale valida giusta causa di recesso: la giurisprudenza del lavoro formatasi con riferimento ad alcune epocali cessioni di rete di promotori finanziari ci ha proprio insegnato che tali argomentazioni non sono da sole risolutive. Sarà, infatti, necessario dare una rigorosa prova che questi eventi hanno inciso pesantemente sull’attività del consulente, provocandogli un danno difficilmente riparabile; ad esempio, una buona soluzione potrebbe essere quella di invocare un danno derivante dal fatto che una parte consistente dei clienti assistiti, appreso che i loro rapporti passeranno automaticamente ad altra società, ha manifestato la decisione di disinvestire o di cessare l’apporto di nuovo capitali. 

A parte quest’ultimo esempio, la casistica può essere molteplice e va valutata caso per caso; si possono manifestare anche situazioni paradossali, si pensi al consulente che aveva deciso di uscire, magari appellandosi a giusta causa e promuovendo specifica azione legale, da una certe rete e si ritrova a rientrarci, eventualmente anche distanza di poco tempo, per effetto della cessione automatica del mandato e pure con il processo di lavoro ancora pendente in tribunale: il consulente andrebbe a svolgere la propria attività professionale per conto di un intermediario verso il quale aveva perso il fondamentale vincolo fiduciario e con il quale sta ancora litigando in giudizio. La circostanza, in apparenza divertente ma nella realtà devastante, non è così rara come si potrebbe ipotizzare.

Chiudo con il ribadire che la cessione del ramo d’azienda di per sé sola non rappresenta necessariamente giusta causa di recesso.

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