L’avvocato Marco Da Villa ha parlato, su Citywire Italia, dei rapporti di lavoro tra i consulenti finanziari e le mandanti.
I mesi di durata dei patti di stabilità/fedeltà più diffusi all’interno delle reti commerciali dei consulenti finanziari sono 24, 36 e 60.
Il patto di stabilità introduce una garanzia di durata minima del rapporto: il consulente finanziario, non l’intermediario, si obbliga a non recedere dal contratto per un certo periodo, di solito deciso unilateralmente dalla mandante, mentre quest’ultima non assume alcun obbligo, rimanendo, invece, libera di sciogliersi dal rapporto in qualsiasi momento.
La causa di tale accordo risiederebbe nel pagamento all’agente di un corrispettivo aggiuntivo e di miglior favore a fronte del suo impegno a non recedere dal contratto per il tempo convenuto: il patto di fedeltà fungerebbe da contraltare ai compensi erogati sulla raccolta ai consulenti reclutati ed inseriti nella propria rete di vendita.
A mio parere simili patti presentano, però, delle forti criticità che potrebbero, addirittura, portare ad una loro declaratoria di nullità. Non mi riferisco solo a problematiche di carattere giuridico, ma anche ad evidenti incoerenze sul piano commerciale.
A giustificazione di queste intese, con una notevole fantasia, le mandanti adducono che il pagamento dei bonus sulle masse da loro acquisite per il tramite del consulente richiede un tempo minimo di mantenimento delle stesse affinché, come si dice in gergo, si vada a break even. L’argomentazione è del tutto infondata:
a) l’intermediario nega una realtà commerciale che, al contrario, conosce benissimo e cioè che in questo settore, se non si pagano premi di ingaggio, non si recluterà mai nemmeno un solo consulente, se non il novizio senza portafoglio
b) Le masse introitate e la clientela acquisita per il tramite del promotore finanziario che ha firmato il patto di fedeltà generano commissioni tali che i premi erogati per l’acquisizione dei rapporti finiscono con l’essere ampiamente compensati ben prima del termine di stabilità imposto al consulente.
Si consideri, inoltre, che la clientela ed i contratti entrano nel patrimonio dall’intermediario e non del consulente. Vero che il promotore, quando cambia preponente, cerca di trasferire i clienti al nuovo intermediario, ma questa si chiama libertà di concorrenza e, soprattutto, anche la precedente mandante ben potrebbe cercare di fare altrettanto tenendosi i clienti specialmente se avesse prima offerto loro un servizio indiscutibile.
Giuridicamente, i patti di stabilità possono porsi in contrasto con le norme dettate dal codice civile in materia di preavviso, introducendo una asimmetria che non dovrebbe superare il giudizio di meritevolezza di cui all’articolo 1322 del codice.
In conclusione, simili pattuizioni, pur non vietate a priori, si muovono sulla sottile linea di confine tra lecito ed illecito e potrebbero sconfinare in quest’ultimo se correttamente valutate, tenendo conto delle caratteristiche peculiari del bizzarro mondo dell’intermediazione mobiliare.
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